Cena fuori

Conosco Claudia ormai da diverso tempo. Ci siamo incontrati la prima volta ad una festa BDSM e successivamente abbiamo iniziato a “frequentarci”. Lei, insospettabile insegnante 50enne, io un 25 enne appena uscito dall’università.
L’episodio che sto per raccontare è avvenuto dopo diverso tempo che non avevo la possibilità di incontrarLa.

“Ho voglia di uscire a cena. Come sei messo domani sera?”

Ovviamente non potevo deluderLa. Era da molto che non avevo modo di incontrarLa e quindi spostai con una scusa un altro impegno rendendomi immediatamente disponibile. E poi non vedevo l’ora di potermi sentire di nuovo un suo oggetto.

Alle 20 sono al parcheggio sotto casa Sua. Attendo trenta minuti quando sento il rumore dei suoi tacchi e la vedo avvicinarsi.

Mi inchino per un elegante baciamano e le apro la portiera per farla accomodare. Si accomoda senza dire una parola. Schiocca le dita e indica la punta dei Suoi stivali. Lei è sempre stata di poche parole quando mi piega al Suo volere, sempre così austera. Senza pensarci troppo mi trovo in ginocchio, come sempre incapace di opporre resistenza. Appoggio le labbra sui Suoi stivali impolverati, ringrazio e accompagno la portiera fino a chiuderla.

Entriamo al ristorante e c’è una leggera coda. Mi guarda e mi manda in cassa a far presente che avevamo la prenotazione. Mi sentivo come telecomandato. I suoi occhi di ghiaccio mi facevano sentire infinitamente piccolo e inferiore. E succede ogni volta che mi fissa, consapevole di potermi comandare come un burattino. E la dimostrazione non tardò ad arrivare.

Dopo qualche minuto ci danno il tavolo ma appena entrati in sala più la Signora vede un caro amico. Mi presenta come un suo conoscente e si ferma a chiacchierare mentre io sistemo la mia giacca sulla sedia.. In quel momento, senza alcun preavviso e con una naturalezza estrema toglie il suo cappotto senza smettere di parlare con il suo amico, e stende il braccio senza dire una parola, consapevole che il Suo burattino sarebbe arrivato immediatamente a prenderlo e metterlo a posto. E così fu. Ignorando la gente che mi guardava stranita accorro a prendere il cappotto padronale riponendolo delicatamente sulla Sua sedia. Mentre tre ragazze sedute al tavolo accanto ridacchiano tra loro, e il mio cazzo si gonfia nella gabbietta che sono costretto a portare ogni volta che la incontro.

Presi posto attendendo la Signora che mi raggiunse qualche minuto dopo. Come un automa mi alzai per spostarLe la sedia e farLa accomodare. Fugando ogni dubbio sulla mia subalternità. O più probabilmente illudendomi che il mio comportamento fosse “normalizzabile”, quasi convincendomi di non esser appena stato umiliato pubblicamente diverse volte.

Arrivato il cameriere, ordinò Lei per entrambi. Per Lei una frittura di pesce e un’insalata. “A lui porti pure del riso in bianco. Poi aggiunga un calice di questo bianco – indicando una voce sul menu – e un’acqua frizzante. Grazie.”

Conversammo, mi disse la sua sulla situazione della pandemia (era un raro momento di zona gialla) e io mi mostrai ovviamente accondiscendente. come impone il mio ruolo, come impone il Suo sguardo. Mangiammo di gusto, almeno Lei. Io mangiai il riso con gli scarti dei suoi gamberetti. Potevo sentire il gusto dell’umiliazione ad ogni boccone. Era impossibile per i vicini non notare la disinvoltura con cui gettava gli scarti dei gamberetti sgusciati nel mio piatto.
Mangiai tutto.

Finito di cenare prese il caffè e il dolce (solo per Lei) e andammo in cassa a pagare. Il titolare ci offre un amaro. Lo beviamo e intanto pago il conto. Mi ringrazia fingendosi sorpresa davanti al titolare. Beviamo l’amaro e abbandoniamo il ristorante.

Giunti all’auto seguii la stessa procedura, ma stavolta decise che non potevo baciare i Suoi stivali, concedendomi di implorarLa di poterlo fare. Mentre pregavo in ginocchio accanto alla mia auto Lei, fumando, mi ricordava quanto fossi un fallito. Poi sputò a terra, e senza bisogno che proferisse parola mi piegai a leccare il suolo. Assaporando il sapore della Sua saliva misto all’asfalto e all’umiliazione.

Quando arrivammo al parcheggio dietro casa Sua sapevo che la serata sta ormai per concludersi. Come al solito non avevo “avuto” nulla, ma ai miei occhi è sempre un privilegio poter essere alle dipendenze della Signora. E poi il mio compito era di far passare una bella serata alla Signora, con il cazzo serrato nella CB proprio per evitare atteggiamenti inopportuni, qualora fossi stato così coglione da sperarci..

“La CB la tieni tutta notte, e mi mandi una foto ogni ora tanto non credo che dormirai molto… Se vuoi avere una minima opportunità di essere usato ancora non ti segare. Lo farai domani mattina senza togliere la CB e mi farai vedere come mangi tutto”.

“Ora lecca bene le suole dei miei stivali. E ringrazia che te lo permetta.”

Estremamente felice per quella che era per me un dono, ringraziai mentre la mia lingua diventava sempre più nera. Mentre leccavo le Sue suole si fumava una sigaretta, gettandomi la cenere in bocca. Non sorrideva del Suo potere, era naturale la subalternità maschile per Lei. Probabilmente stava inviando qualche messaggio a qualche amica, come avrebbe fatto a casa sul divano in un contesto normalissimo. E questo mi mandava fuori di testa ogni volta.

Finita la sigaretta la spagne a terra e me la caccia in bocca. Si asciuga le suole sulla mia camicia bianchissima e sparisce nel buio lasciandomi in ginocchio sull’asfalto con la bocca impastata di sporcizia.

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