La professoressa di mio figlio

Anche quel giorno a lavoro non si contavano i rompiscatole. Giornata impegnativa con i soliti clienti, convinti che esistano solo loro e che non hai nulla da fare se non aspettare una loro chiamata per essere a disposizione immediatamente. Finalmente però era ora di staccare con il lavoro. Erano le 17.30, molto presto rispetto al solito ma, per non farsi mancare nulla, quella sera c’erano anche i colloqui insegnanti-genitori. Toccava a me, con la mia ex-moglie siamo d’accordo di dividerci gli impegni riguardanti il piccolo.
I colloqui iniziavano alle 17.30, erano le 18 ed ero ancora in macchina, complice anche la chiamata di un cliente che aveva dilatato ancora i tempi. Nulla di particolare, un intervento abbastanza semplice che avrei eseguito il giorno dopo.
Finalmente a scuola. C’erano ancora diverse persone e, dopo aver approfittato delle code più brevi per parlare con alcuni insegnanti di mio figlio, mi sono messo in coda per il colloquio con la prof di matematica, materia in cui riscontrava più difficoltà.

La scuola era ormai quasi deserta, restavano giusto alcune persone in attesa sulla porta di altre due aule quando ecco che arrivò il mio turno. La professoressa Longis era una donna sui 45 anni, sguardo serio ma armonioso, alta intorno al metro e settanta, ma sempre accompagnata da delle eleganti scarpe col tacco.
Dopo brevissimi convenevoli (erano ormai quasi tre ore che stava facendo colloqui e immaginavo che anche lei fosse stanca e desiderosa di tornare a casa) iniziò ovviamente a parlare dell’andamento scolastico del ragazzo, delle sue lacune e dei modi in cui saremmo potuti intervenire anche a casa etc etc… Appena entrato però il mio sguardo era stato rapito dal modo in cui dondolava la scarpa sul piede della gamba accavallata, lasciandola sospesa in aria. 

Una scena da togliere il fiato ad un feticista come me. Allo stesso modo aveva sfilato anche l’altro tallone dalla scarpa appoggiandolo sul bordo esterno.

Faticando a concentrarmi su ciò di cui avremmo parlato, avevo quindi preso posto. Cercai di mostrarmi il più possibile serio e disinteressato ai piedi della signora Longis, ma ad ogni sguardo verso di loro era un colpo al cuore. Lo smalto rosso, che ora si riusciva ad ammirare da quanto sfacciatamente mostrava i suoi piedini, mi rendeva ancora più difficile seguire le sue parole. Cercavo di dissimulare, anche se mi resi conto che pur annuendo e cercando di mantenere un atteggiamento che non lasciasse trasparire nulla della mia attrazione verso i suoi piedi, lei si era accorta eccome del mio imbarazzo.
La disinvoltura e la noncuranza con la quale proseguiva nel suo (inconsapevole?) spettacolo  mi fece pensare che probabilmente non era così. O sapeva davvero mantenersi concentrata sul discorso del rendimento mentre mi rimbambiva giocando con le scarpe, oppure non si era accorta di nulla ed era un semplice vizio quello di togliere le scarpe e tutto il resto era frutto della mia immaginazione e della paura di esser “scoperto”.

Ed effettivamente le cose non stavano così ma ben “peggio”. Quello che poi più avanti mi sarebbe sembrato estremamente chiaro è che in quel momento non solo la professoressa aveva colto il mio imbarazzo, ma aveva proprio deciso consapevolmente di sedurmi e approfittare della mia attrazione verso le sue estremità. E non lo fece perché incuriosita dalle conseguenze. Le conosceva molto bene. La professoressa Longis era la cosiddetta “zitella”, ma lo era per scelta. Aveva numerosi corteggiatori premurosi e adoratori sottomessi. Conosceva bene il potere del fascino femminile, delle proprie estremità. Infatti le ha sempre curate in modo quasi maniacale.

Torniamo a noi. Come vi dicevo la prof continuava a parlare della didattica e dell’andamento di mio figlio e io non potevo fare altro che assecondarla con dei cenni del capo, troppo concentrato a cercare di non farmi distrarre da quei piedini così perfettamente proporzionati, e dalla scarpa con il tacco che agitava sulla punta delle sue dita.
Inevitabilemente alla prima domanda che richiedeva una risposta articolata che non fosse un cenno del capo, crollai come un ragazzino impreparato durante l’interrogazione.
“Chi lo aiuta durante i compiti? C’è qualcuno che lo segue o se la cava da solo?”
Al mio ennesimo “sì” con il capo, mi accorsi subito della gaffe. Cercai di balbettare qualcosa.
“Mia mo… ehm, la mia ex-moglie, sua madre, lo aiuta qualche volta. Sa anche io cerco di, insomma, cerco di dargli…”
Il suono della scarpa che dal suo piede cade a terra mi fece sobbalzare e mi bloccai. Lei sorrise sorniona, perfettamente consapevole di quello che stava per succedere e di ciò che stava succedendo dentro di me (e nelle mie mutande).
Mi guardò dritto negli occhi. Seria, infastidita dal mio atteggiamento. Abbassai lo sguardo, incapace di sostenere il suo.

“Raccoglila.”

Mi piegai a raccogliere la scarpa con il tacco e restai lì in fissa sul suo piede che si muove aprendo le dita a ventaglio. Desideravo da impazzire affondare il naso nelle sue scarpe, adorare quel piede che si agitava, ipnotico, davanti al mio viso. La immaginai compiacersi di come avevo assecondato la sua richiesta senza fare domande. Mi sentivo incapace di fare qualsiasi cosa e quindi mi fermai in attesa di una sua indicazione. Lei ne approfittò, lasciandomi qualche secondo lì a terra nel mio imbarazzo.
“Che aspetti? Rimettimela su svelto. O aspetti che qualcuno ti veda in quella posizione?”

In un attimo era tutto definito. Aveva abbandonato l’utilizzo del “lei” e qualsiasi forma di convenevole sociale. Lei la cacciatrice, io la preda, già vittima del suo fascino e del suo potere.
Le calzai la scarpa con delicatezza estrema, quasi si trattasse di un rituale religioso.

“Non male. Davvero credi che non mi sia accorta di come sbavi sulle mie scarpe?”

“Ecco, io”

“tu cosa? Tu, come tutti gli uomini, sei incapace di trattenere i tuoi istinti e di tenere a bada il tuo coso anche in un contesto che di sessuale non ha nulla. Ma non ti preoccupare, da oggi avrai chi ti saprà educare.”

Aveva ragione assolutamente ragione, e non ero riuscito a nascondere l’erezione che spingeva sui jeans. Quella donna, i suoi modi, i suoi piedi, il suo odore… Tutto così eccitante… Quasi ipnotico. Mi mandava fuori di testa.

Assicuratasi di avermi in pugno mi diede appuntamento nel parcheggio della palestra poco distante dopo una mezz’ora.

“Non voglio rischiare il lavoro per un nuovo leccapiedi. Aspettami davanti alla porta d’ingresso del 20hours tra 30 minuti. Credo sia superfluo dire che se tra trenta minuti arrivo e non ti trovo puoi anche dimenticarmi.”

“Certo, no professoressa sarò sicuramente lì ad attenderla.”

Inutile dire che dopo dieci minuti ero davanti a quella porta in attesa di colei che si era appena presa la mia volontà con la sola consapevolezza della propria femminilità e del potere che esercita sugli uomini, senza alcun tipo di sforzo.

CONTINUA

Leggi qui il secondo capitolo

Vedi anche

Racconti

Il pranzo

Era un sabato pomeriggio estivo. Il sole filtrava dalle ampie finestre della villa, illuminando la sala da pranzo con una luce dorata. Le tende di

Leggi Tutto »

Una risposta

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *