Ero lì, fermo davanti alla porta d’ingresso della palestra, con il cuore che batteva all’impazzata. Il pensiero di non essere all’altezza di ciò che la professoressa Longis si aspettava da me mi divorava dentro, ma l’eccitazione e la curiosità erano troppo forti per permettermi di andarmene. La mia mente continuava a tornare a quei piedi perfetti, a come si erano mossi davanti a me, a come la sua voce aveva tagliato l’aria con autorità, rendendo chiaro che, da quel momento, la mia vita non sarebbe stata più la stessa.
La mezz’ora sembrava non passare mai. Ero immerso in una marea di pensieri, di scenari che mi attraversavano la mente, un misto di paura ed eccitazione. Ma proprio mentre il tempo sembrava scorrere più lentamente che mai, la vidi arrivare. La professoressa Longis camminava verso di me con la stessa eleganza e sicurezza che aveva mostrato durante il colloquio. Indossava ancora le sue scarpe col tacco, che ora sembravano persino più alte, e un sorriso enigmatico che non lasciava presagire nulla di buono.
“Bene,” disse, fermandosi davanti a me, guardandomi dall’alto in basso come se fossi un insetto da schiacciare. “Hai fatto la scelta giusta.”
Non riuscii a rispondere, il mio sguardo si era già abbassato, inchiodato alle sue scarpe, ai piedi che sapevo avrei voluto adorare, servire.
“Seguimi,” ordinò, voltandosi senza aspettare una risposta.
Mi portò all’interno della palestra, ma non verso le sale affollate. Girò in un corridoio laterale, passando per una porta riservata allo staff. La seguivo senza fare domande, senza neanche pensare a ciò che stavo facendo. Era come se un filo invisibile mi legasse a lei, un legame che non avrei potuto rompere anche volendo. Arrivammo a uno spogliatoio privato. Era ampio, molto più elegante di quanto mi aspettassi in un posto simile, con una luce soffusa e arredi di legno pregiato.
“Chiudi la porta dietro di te,” disse, mentre si accomodava su una delle panche al centro della stanza.
Obbedii immediatamente, il cuore che batteva ancora più forte. Quando mi voltai di nuovo, la vidi già seduta, con le gambe accavallate e un piede che dondolava pigramente, la scarpa a malapena appoggiata sulla punta.
“Sei qui perché hai dimostrato di non saper controllare i tuoi istinti. Sei un uomo debole, incapace di resistere al fascino femminile, e hai bisogno di essere educato. D’ora in avanti, tu sarai il mio servo. Mi obbedirai senza fare domande, senza discutere. È chiaro?”
Annuii, sentendo un’ondata di vergogna e desiderio travolgermi. Non riuscivo a capire come una semplice giornata di colloqui si fosse trasformata in questo. Ma sapevo che non avrei mai potuto dire di no. Era troppo tardi per tornare indietro, e, in fondo, non volevo farlo.
“Bene,” continuò lei, con quel tono di voce che sembrava carezzarmi e colpirmi allo stesso tempo. “Allora cominciamo con la tua prima lezione. Avvicinati.”
Mi avvicinai lentamente, il cuore in gola. Quando fui abbastanza vicino, la professoressa Longis fece scivolare la scarpa dal piede, lasciando cadere la ciabattina a terra con un tintinnio. Il suo piede nudo, così perfetto, era ora a pochi centimetri dal mio viso.
“Inginocchiati,” ordinò.
Senza esitazione, mi inginocchiai davanti a lei, il volto a pochi centimetri da quel piede che desideravo adorare. Non sapevo cosa fare, cosa aspettarmi, ma sapevo che ero completamente in suo potere.
“Ora, prendi la mia scarpa e annusala,” comandò, con un tono che non ammetteva repliche.
Le mie mani tremanti si mossero verso la scarpa, afferrandola con delicatezza. Portai la punta verso il mio naso, il cuore che sembrava volesse esplodere. Il profumo della pelle, misto al sottile aroma del piede della professoressa, mi fece girare la testa. Era un odore che mi sembrava paradisiaco, ma anche pieno di umiliazione. Annusai profondamente, sentendo un’ondata di desiderio travolgermi.
Lei mi osservava con un sorriso freddo, il suo sguardo di ghiaccio che non si staccava da me. “Vedi, schiavo,” disse, “il tuo posto è ai miei piedi. È qui che dovrai dimostrare la tua devozione, la tua totale sottomissione. Sei un verme, incapace di controllarti, e ora sarai addestrato a fare tutto ciò che ti ordino.”
Quelle parole mi colpirono come un pugno nello stomaco, ma, allo stesso tempo, mi fecero sentire stranamente completo, come se avessi finalmente trovato il mio posto.
“Leccala!”, disse. il tono dolce e crudele allo stesso tempo.
Obbedii immediatamente, la lingua che sfiorava la pelle della scarpa, sentendo il sapore del cuoio, l’odore intenso che mi inebriava. Ogni leccata era un colpo alla mia dignità, ma non potevo fermarmi. Volevo solo compiacerla, dimostrarle che ero disposto a fare qualsiasi cosa per lei.
La professoressa Longis continuava a guardarmi, quel sorriso soddisfatto che non abbandonava mai il suo volto. Sapeva di avermi in pugno, di avere il totale controllo su di me. E io, inginocchiato lì davanti a lei, sapevo che non c’era più via di ritorno.
“Bravo,” disse infine, ritraendo il piede e rialzandosi con eleganza. “Hai imparato la tua prima lezione. Ora, aspettami qui ogni settimana, alla stessa ora. Avremo molto lavoro da fare per trasformarti in ciò che meriti di essere.”
Mi lasciò lì, inginocchiato, mentre usciva dalla stanza senza un altro sguardo. Io rimasi fermo, incapace di muovermi, la mente in subbuglio e il corpo in preda a un desiderio che non avevo mai provato prima.
Quella notte, non riuscii a dormire. Il pensiero della professoressa Longis, del suo piede, delle sue parole, continuava a tormentarmi. Ma sapevo che presto sarei stato di nuovo lì, pronto a sottomettermi completamente a quella donna che aveva preso possesso della mia anima.